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giovedì 22 dicembre 2011

English cake


Nella borsa della spesa:
100 g di Uva passa
2 cucchiai di Rum
250 g di Burro + il necessario per ungere
200 g di Zucchero (il mio di canna)
1 bustina di Zucchero vanigliato
1 pizzico di Sale
4 Uova
1 Limone, la buccia grattugiata
200 g di Farina (la mia di kamut)
50 g di Fecola
½ cucchiaino di lievito in polvere
2 cucchiai di Latte
70 g di Mandorle tritate
70 g di Cedro candito (oppure 50 g di cedro e 30 g di ciliegie candite)
30 g di Zucchero a velo



Nota:
Ho servito la mia English cake con una tazza di the twinings ceylon orange pekoe tea, la mia tazza fumante, senza zucchero e con un sorso di latte. Cake e tea all’inglese, accoppiata vincente per un momento di piacere!
Gli utensili usati sono: spatola, o lecca pentole, Le creuset – tazza da tea CHSgroup



Vi racconto il “come fare”:
Fate ammorbidire l’uva passa in una tazza contenente dell’acqua calda, trascorsi 5 o 6 minuti, scolatela bene e trasferitela nuovamente nella tazza, quindi bagnatela con il rum. Lasciate l’uvetta a macerare per un quarto d’ora e intanto montante il burro a spuma in una terrina, utilizzando una frusta, incorporandovi lo zucchero, lo zucchero vanigliato e un pizzico di sale. Aggiungete al composto, uno alla volta, i tuorli (tenendo da parte gli albumi), poi la scorza di limone ed infine le polveri: setacciate insieme farina, fecola e lievito prima di unirli al composto di burro. Aggiungete un po’ di latte, le mandorle tritate e i canditi, infine l’uvetta passa assieme al rum. In una seconda terrina, montate a neve ben ferma gli albumi quindi incorporateli al primo composto aiutandovi con una spatola, con movimenti dal basso verso l’alto cercando di non smontare la spuma. Ungete uno stampo da plumcake, rettangolare, e versatevi dentro il composto ultimato, livellandolo all’interno dello stampo con una spatola, e infornate in forno caldo a 180°C per 20 minuti . Trascorso questo tempo, coprite la superficie dello stampo con apposito coperchio o con della carta stagnola e continuate la cottura del dolce per altri 30 minuti. A fine cottura lasciate intiepidire il cake prima di toglierlo dallo stampo e servitelo cosparso di zucchero a velo.



Un pizzico di :
Amo all’inverosimile girovagare per i mercatini, in particolar modo per quello di Piazza Marina (qui per alcune foto) dove il moderno si mescola all’antiquariato e il tepore di queste domeniche d’inverno ci concede una passeggiata rilassante, preludio al pranzo in famiglia. Andiamo spesso tra quelle bancarelle, a spulciare tra vecchie stampe, ad accarezzare ceramiche ormai ingiallite dall’età. Il buongustaio mi incita spesso a comperare ciò che mi piace, tanto da accattivarsi la simpatia dei venditori – pare merce rara un marito men che taccagno, anzi ben disposto a tirar fuori il portafogli – ed uno in particolare ha già da tempo intrappolato i miei desideri. Piatti, piattini e tazzine, centrotavola, alzate e fruttiere, l’ultima volta aveva persino dei bellissimi candelabri cesellati (ne ho portato uno a casetta al marzapane)… non resisto, non mi lascia mai il desiderio il mio buongustaio tanto da concedermi il lusso di inserire una nuova etichetta qui su PdM: ceramiche d’un tempo.
Etichetta con la quale, di volta in volta ed assaporando il trascorrere del tempo, vi mostrerò le mie conquiste. Oggi è la volta di un piatto da portata inglese degli anni '40. Perfetto per servire una English cake tratta da un ricettario vintage, l’enciclopedia di cucina Curcio della mamma… ormai mia, evviva il vintage tra i fornelli!



In questi giorni che precedono le feste troppe le cose da fare, i lavori da chiudere prima di Natale, ultimi acquisti, telefonate a coloro i quali non sentiamo da un pò… la casetta al marzapane è in fibrillazione e i suoi abitanti si preparano a partire per raggiungere i parenti, così non ci rivedremo prima dell’anno nuovo e già da ora auguro a tutti voi un Sereno Natale e Feste all’insegna dell’amore, della serenità, del calore familiare, auguro ancora a tutti un Nuovo Anno pieno di belle nuove

martedì 13 dicembre 2011

A scuola di cucina: il pane… con lievito madre, lievito di birra o lievito disidratato?


Oggi prepariamo il pane, tentando di esplorare le diverse preparazioni nell’utilizzo di lieviti diversi. Tempo fa vi parlai del mio Saro, il lievito madre nato e cresciuto in casa marzapane (qui, per le indicazioni di avvio del lievito madre). Molte sono state le mie prove tecniche, prima di comprendere come trattare l’impasto del pane in ogni situazione. Ho provato con diverse farine, diversi tempi di lievitazione, pani normali o farciti ed alla fine ho ottenuto risultati diversi e tutti altrettanto validi. Nel tentativo di condividerli con voi premetto che un buon pane fatto in casa si può ottenere anche se non si è dei provetti panificatori – come non lo sono io. Non bisogna mai scoraggiarsi, ma tentare e riprovare.



Esistono diversi tipi di lievitazione, iniziando questa avventura de “A scuola di…” nel primo episodio ho provato a raccontarvi i miei tentativi per la fattura di un pandispagna senza lievito, in questo caso la lievitazione è una lievitazione fisica, montando bene le uova – incorporando aria – si riesce ad ottenere la giusta consistenza e spumosità.
Nel caso del pane è invece necessario l’utilizzo di lieviti ad azione biologica, si tratta di funghi unicellulari che per fermentazione trasformano gli zuccheri presenti in anidride carbonica, un gas che sprigionato nell’impasto ha l’azione di produrre i così detti alveoli. I lieviti, in questo caso, sono dunque cellule viventi e come tali hanno necessità di respirare e di nutrirsi. Nutrimento dato degli zuccheri, mentre il sale e i grassi (vedi olio o burro usati per l’impasto) hanno la tendenza a inibire – bloccare – la loro capacità fermentativa.

Gli zuccheri verranno introdotti come tali, zucchero da tavola, o con l’aggiunta di miele al lievito da rinvigorire. Altra forma di nutrimento dei lieviti è rappresentato dall’amido presente nella farina (anch’esso considerato tra gli zuccheri).

Il lievito madre ed i così detti lieviti di birra (sia in panetto che quello disidratato) funzionano grossomodo alla stessa maniera anche se i tempi di lievitazione sono molto differenti: per fermentazioni lunghe, e lunghi tempi di lievitazione, si userà il lievito naturale o lievito madre oppure, come vedremo in seguito, la biga o lievitino; per una lavorazione più semplice e breve useremo invece il lievito di birra, la cui lievitazione avviene in due tempi, ma molto più brevemente e facilmente.

Se si usa il lievito madre, quindi lunghi tempi di lievitazione, le farine più adatte saranno quelle di grano tenero (Farina 00), sempre e comunque di ottima qualità con una forza (W) che va da 310 a 380! Importante specificare che però nelle confezioni ad uso domestico, farina in pacco da 1 kg, la forza non è specificata per cui (seppure è un fattore fondamentale) nella fattura artigianale di un pane domestico, noi massaie difficilmente ci basiamo su questo fattore. Possiamo regolarci invece sul contenuto in proteine di una determinata farina perché, tendenzialmente, più cresce la forza della farina più cresce il contenuto di proteine (che generalmente è specificato sulle confezioni).

Una farina forte andrà bene per un pane a lunga lievitazione o un panettone, una farina debole invece sarà adattissima alla fattura di biscotti o crackers.



Ovviamente usare il lievito naturale o lievito madre offre notevoli vantaggi: il prodotto sarà migliore, avremo un pane più digeribile e con alveoli di lievitazione più regolari (dati dal lungo processo fermentativo), anche il gusto sarà diverso e la conservazione migliore. Il pane prodotto con lievito madre si conserva “fresco” per più tempo. L’utilizzo del così detto lievito di birra ha invece tra i vantaggi la possibilità di utilizzare farine meno pregiate e la velocità di lievitazione. Ma ricordiamoci che non abbiamo necessariamente bisogno di far vivere il lievito madre in casa nostra per produrre del buon pane, considerate che il mio Saro al momento è nel freezer, congelato in attesa di tempi migliori. Il lievito madre deve essere curato, nutrito costantemente, rinfrescato e nel caso in cui per un periodo di tempo non possiate provvedere alla sua cura, potete riporlo in congelatore dove le funzioni vitali dei lieviti si bloccano, ma non muoiono.

Tra il lievito di birra in panetto e il lievito disidratato esiste davvero poca differenza per cui, per praticità, tendo a tenere in casa quello disidratato che ha una maggiore durata in termini di scadenza del prodotto. La differenza sta nell’attivazione dei lieviti: il lievito di birra in panetto è già attivo, mentre il lievito liofilizzato va riattivato in acqua e con l’aggiunta di un cucchiaino di zucchero o miele.

Le farine che possiamo utilizzare per realizzare il nostro pane fatto in casa sono davvero tante:

Ricorderete il mio recentissimo pane di Farro; i bocconcini al sesamo, o le chiocciole di mare, con Farina 00 (di grano tenero); il pane alle olive, nel caso di miscele di farine ed in questo caso farina 00 e Manitoba; il pane in cassetta, o il simil cheese naan con farina di Kamut; ma ancora le farine da usare possono essere di Segale (basso contenuto in glutine, lievita con difficoltà) ed anche di Grano saraceno (non contiene glutine e non panifica se usata assoluta; potrà essere usata solo in miscela).

Le farine di grano tenero vanno dal tipo 00, 0, 1, 2 alla Manitoba e comprendono anche le farine Integrali (con presenza di crusca). Le farine integrali non lievitano bene, il contenuto in crusca rallenta la formazione di glutine e la lievitazione peggiora rispetto a farine di pari forza come la Manitoba, ricca invece proprio in glutine.

Le farine di grano duro sono o grossolane, Farina di semola, o più finemente macinate, Farina di rimacino o rimacinata. Lievitano bene, hanno un alta presenza di glutine, ma in genere vengono usate per la pasta più che per il pane. Fatta eccezione per noi Siciliani, il cui pane rimacinato è molto comune. Si può usare farina di grano duro integrale, oppure miscelata alla farina 00. Il pane risultante sarà più colorito (giallo) e a mio avviso più profumato. Da noi, la farina di rimacino, si usa pura o in miscela anche per pizza e sfincione.

La farina di Kamut, parlo ormai per esperienza reiterata, è una validissima alternativa. Ha le stesse caratteristiche delle farine di grano duro, lievita molto bene e il pane risultante è morbido, buono e profumato; identico discorso per le farine di Farro.



Il glutine altro non è che un agglomerato di proteine che si sviluppa quando la farina, o la miscela di questa, viene impastata all’acqua. Ecco perché più il contenuto in proteine cresce (più la forza di una farina cresce) più questa farina avrà una buona tendenza a formare glutine ed a lievitare e sarà adatta alle lunghe lievitazioni (pane con lievito madre, panettoni e simili).

Per tutti i tipi di pane da me proposti qui su PdM fino ad adesso, fatto salvo il pane con lievito madre, l’impasto eseguito è un impasto diretto: tutti gli ingredienti vengono miscelati insieme, nella stessa fase. E nel caso di lievito di birra (nei miei esempi si tratta sempre di lievito disidratato) sono impasti che seguono due lievitazioni, brevi. La prima lievitazione di circa 1 ora e la seconda lievitazione, di circa mezzora, fatta avvenire dopo aver dato la forma voluta al pane e prima che questo venga infornato.

Se si parla invece di impasto indiretto avremo a che fare con due fasi, la prima in cui formiamo il così detto lievitino o biga (o nel caso di lievito madre, il rinfresco di questo) e la seconda fase in cui il lievitino viene impastato ai restanti ingredienti.

Qual è la differenza? Intanto di tempi e di praticità. Relativamente al gusto ed al risultato del prodotto finale, l’impasto diretto – essendo rapido e con tempi di lievitazione relativamente brevi – consente ai lieviti di attivare solo la fermentazione alcolica; l’impasto indiretto – essendo più lento, in due fasi e con tempi di lievitazione più lunghi – consente ai lieviti anche lo sviluppo dei lattobatteri che migliorano le qualità organolettiche (il gusto) del pane.

Anche i fattori ambientali influenzano la lievitazione: sopra i 22° (in piena estate) i lieviti si sviluppano troppo in fretta, sotto gli 8° (in pieno inverno o in frigo) i lieviti bloccano le loro funzioni. Ancora una nota, l’acqua per l’impasto dovrà essere minerale, la presenza di calcare può inibire la lievitazione.

Non sono certo un’esperta in panificazione, sono un’entusiasta e questo mi spinge a voler fare e rifare il mio pane fatto in casa. Dai primissimi esperimenti ad oggi ne è passata di acqua sotto i ponti e devo dire che ogni volta è sempre meglio. Questo epilogo serve ad incoraggiare chi ancora non si è deciso a provare. Come vedete, in modo molto semplificato, ho parlato di farine, lieviti, lievitazione e impasti, un mondo che non si finisce mai di scoprire… ma in effetti, alla fine, per chi vuole iniziare i primi passi in questo meraviglioso mondo del pane casereccio può regolarsi così: Lievito di birra, Farine semplici (di grano duro o di grano tenero), Impasto diretto, doppia lievitazione e il risultato non tarderà ad arrivare. Per chi si appassiona poi il passo alla creazione del lievito madre e all’approfondimento di tutte le tecniche sarà davvero breve.

Oggi vi racconto il mio pane più semplice, quello a cui sono arrivata dopo diverse sperimentazioni, con farine di grano tenero, impasto diretto e doppia lievitazione, impasto effettuato con la tecnica del folding (le piegature), riservandomi in futuro di provare e raccontarvi anche l’impasto indiretto con l’uso della biga o lievitino…



Nella borsa della spesa:
350 g di Farina 00
150 g di Farina manitoba
200 g di Acqua minerale
100 g di Latte intero
1 bustina di Lievito di birra secco (circa 7 g)
10 g si Sale (circa un cucchiaino da tè)
10 g di Zucchero (circa un cucchiaino da tè)
30 g di Olio evo

Vi racconto il “come fare”:
Versate in una tazza il latte tiepido e l’acqua a temperatura ambiente (utilizzare una parte di latte e due parti di acqua vi permetterà di ottenere un pane ancora più morbido che nel caso in cui usiate solo acqua); scioglietevi dentro il lievito disidratato e lo zucchero, quindi lasciate riposare 5-6 minuti. In una capiente ciotola versate le farine e il sale, miscelate le polveri e praticate il caratteristico cratere (un buco al centro della fontana di farine). versate al centro del cratere i liquidi della tazza, contenenti lievito e zucchero, e l’olio extra vergine d’oliva. Iniziate ad amalgamare l’impasto, aiutandovi con i rebbi di una forchetta, e quando i liquidi saranno tutti ben assorbiti, trasferite l'impasto sulla spianatoia infarinata e lavorate a lungo, snervate la pasta e lavorate con i polsi – sbattetela sul piano di lavoro e riprendete ad impastare - per almeno 10-15 minuti.



Lasciate l'impasto, che dovrà presentarsi liscio e morbido, a forma di palla – sulla quale praticherete un taglio a croce - coperto con un canovaccio a riposo per circa 1 ora. Trascorso il tempo della prima lievitazione, appiattite il panetto e procedete al folding o piegatura come mostrato in foto (i più precisi sanno bene che il folding andrebbe ripetuto, due o tre volte, con relativi tempi di lievitazione tra un passaggio e l'altro. Io per praticità lo eseguo una sola volta e il risultato, almeno al momento, mi ha sempre soddisfatto):

 
 
Lasciate dunque lievitare l’impasto, così piegato, coperto dal canovaccio e lontano da possibili spifferi d’aria, ancora per 1 ora. Trascorso questo secondo tempo di lievitazione, date all'impasto la forma del pane desiderato e accendete il forno regolandolo a 180°C. Quando il forno sarà ben caldo, infornate il pane (se preferite prima potete completarlo con semi di sesamo: con un pennello, bagnate la superficie del pane con dell’acqua minerale e cospargete con il sesamo) e cuocete il pane, in forno ben caldo, per circa 30 minuti circa. Attendete che si raffreddi prima di tagliarlo o mangiarlo. Se volete conservarlo, basterà avvolgerlo in un canovaccio pulito, si manterrà morbido per i due giorni seguenti la cottura.

martedì 6 dicembre 2011

Pollo al curry in agrodolce


Nella borsa della spesa:
4 fette di Pollo, filetti (circa 500 g)
1 Porro di medie dimensioni
3 Carote
3 Patate di medie dimensioni
1 cucchiaino da tè di curry in pasta
1 cucchiaio di Olio evo, il mio aromatizzato al rosmarino
1 cucchiaio di Passoline e Pinoli
1 bicchiere di Vino Moscato
Sale, pepe

Nota:
Fondamentali per il gusto agrodolce sia le passoline che il moscato, nel caso in cui invece non troviate la pasta di curry (in vendita presso i negozi alimentari asiatici), potrete sostituirla con il più comune curry in polvere.



Gli utensili:
Padella Illa Perl da 32 cm

Vi racconto il “come fare”:
Mondate e affettate il porro, trasferitelo in una larga padella e ripetete l’operazione con le carote: mondatele e tagliatele a tocchetti prima di trasferirle in padella con il porro. Aggiungete un generoso filo d’olio evo, io ho utilizzato dell’olio novello aromatizzato al rosmarino per profumare ancor di più il piatto. Accendete a fiamma vivace e lasciate soffriggere per 2-3 minuti, aggiungete il curry (se volete osare mettetene anche di più, con un cucchiaino il piccante resta contenuto) quindi mezzo bicchiere d’acqua e lasciate cuocere ancora per 2 minuti. Intanto pelate, lavate e affettate le patate; tagliatele a fette spesse circa mezzo centimetro e posizionatele in padella su carote e porro, salate e pepate. Sempre a fiamma vivace, sfumate le verdure con mezzo bicchiere di moscato e lasciate cuocere per 5 minuti circa o fin quando il vino si sarà asciugato. Trasferite le verdure momentaneamente in un piatto e aggiungete ancora un filo d’olio nella stessa padella. Soffriggete, velocemente e da entrambi i lati, il pollo con passoline e pinoli, salate e pepate e lasciate cuocere per non oltre 5 minuti. Riposizionate sul pollo, ordinatamente, porro e carote e sopra le fette di patate. Sfumate con ancora mezzo bicchiere di moscato e coprite o con un foglio di carta stagnola in modo da sigillare bene la superficie della padella. cuocete a fiamma, prima moderata e poi bassa, per 15 minuti e servite a fine cottura ben caldo.


Un pizzico di :
Si tratta di una delle mie ricette, di quelle inventate al momento seguendo l’impulso della creatività, gustate, amate e riproposte, tanto da divenire rodate, da entrare nella "rosa di quelle da fare e rifare". Avevo a disposizione fettine di pollo, un porro da usare al più presto e diversi vini per la sfumatura: ho scelto il moscato per accentuare il carattere agrodolce della composizione. Avevo ancora a disposizione il curry, ormai immancabile tocco d’oriente in casa marzapane, e la voglia di creare un gusto agrodolce, ma molto piccante e possibilmente nuovo. È nato questo pollo, che avrei chiamato volentieri “pollo a sorpresa” per la cottura nascosta dal foglio di carta stagnola, ma per rappresentarlo meglio e far comprendere la tipologia di secondo richiamandone il gusto, ecco che diviene pollo al curry in agrodolce… se ve lo consiglio? Decisamente sì, è così profumato che mia madre (dalla casa accanto, viviamo sullo stesso pianerottolo) si è presentata! Bussando, recava sotto braccio un piatto :)

lunedì 5 dicembre 2011

Degustivina 2011, io c’ero ed al wine coking show? Marcello Valentino!


Poco meno di un mesetto fa Alessandra mi dice “c’è Marcello Valentino al Degustivina, venite?”. Devo ammettere che la proposta mi coglie impreparata, non conosco bene (me tapina) ne la manifestazione ne lo chef, eppure con grande entusiasmo raccolgo la palla al balzo e dico “Sì, almeno passiamo la serata insieme!
Il tempo passa in fretta, si sa, ed ancor di più se piacevolmente impiegato. Così da quella conversazione il passo è stato breve: telefono, prenoto… mi telefonano, volo a pagare i biglietti… e siamo alla serata.



Sabato 3 Dicembre ci avviamo verso l’ex deposito di locomotive Sant’Erasmo, in via Messina Marine a Palermo. Uno scenario perfetto, il luogo è ricco di magia: imponente, unico, da un lato la città che sonnecchia alla luce dei primi lampioni che si accendono, dall’altro un mare placido e caldo, uno sciabordio di onde sulla riva che invogliano alla rilassatezza di una conversazione spruzzata di vino. Siamo ad inizio Dicembre, eppure le giornate ancora non accennano a regalare soffi di brivido freddo. Fa piacere indossare stivali e cappotto, ma solo per il gusto di rispolverare il guardaroba “caldo”, non per la stretta necessità di difendersi dai morsi del gelo (l’unico siciliano che conosco davvero è quello d’anguria).


La manifestazione dentro la manifestazione, questo il menu della serata. Il luogo inizia a pullulare di passi certi, avanza la gente vero il Degustivina 2011: si tratta di una kermesse che compie 11 anni, siamo alla 12° edizione, periodo di tempo in cui ha accolto tra le sue braccia una sicilianità sempre più marcata, vera, autentico vessillo di gusto, tradizione ed eleganza. La manifestazione attrae curiosi, giornalisti, buyers, esperti di settore e molte aziende, tante le ditte che espongono il loro marchio. Un confronto diretto tra produttore, che espone, raccontando la passione e l’amore per questo mestiere, e consumatore che tra odori, sorsi e sorrisi si lascia incantare.



Il vino siciliano scorre a fiumi, fiumi dorati di uve brillanti, cresciute sotto un sol leone che concede loro aromi singolari. Baglio di Pianetto, uno dei protagonisti assaporati, recita così nei suoi manifesti: Non immaginare la Sicilia. Assaporala.
Assaporala, mi piace! Assaporala, perché questa terra ha da offrire voglia e lacrime: voglia di riscatto e lacrime di gioia per tutte quelle esperienze che lasciano i confini e connotano questa porzione di mondo con epiteti, finalmente, positivi. Si sente che amo la mia terra? Ma non è forse normale amare il proprio padre anche quando questi con te commette errori?! Amo la mia terra e manifestazioni come quella che ho vissuto mi ricordano alcuni perché dimenticati: c’è un patrimonio artistico e culturale, culinario da essere definito scrigno prezioso di perle rare.



Una di queste si chiama Marcello Valentino che, con il suo angolo di cucina mediterranea, porta in giro la Sicilia nel piatto rinnovata nell’aspetto. Definisce la sua cucina "una ventata di mediterraneo senza confini" ed io ho compreso il perché. Parla delle tecniche mentre procede ad allestire il piatto, parla dei picnic siciliani, quelli in cui la pasta al forno non può mancare – e Lui la rivisita per noi – parla del cibo da strada come di un gioiello da sfoggiare e mai dimenticare. Al wine coking show, chef executive e 13 vini in degustazione hanno animato la nostra serata. È stato bello, anche se la partenza ci vedeva proiettati verso il food e l’arrivo ci ha fatto comprendere che il wine padroneggiava sull’evento.



Abbiamo mangiato poco e bene, abbiamo bevuto tanto e meravigliosamente. Tanto che passi incerti ci hanno ricondotto all’uscio, non prima però d’aver stretto la mano a Marcello Valentino. Sul finir della serata Alessandra mi ha presentato Gialla, una ragazza bella, sorridente e vulcanica che spero di rivedere quanto prima!



Dal mio resoconto sembrerebbe una serata perfetta, eppure non è stata prima di nei. Non ho apprezzato appieno l’organizzazione e la zona riservata al wine coking show: niente affatto insonorizzata, tanto che per ascoltare lo chef era necessario drizzare le puntute orecchie elfiche (qualora in dotazione). Organizzazione che non ha peccato nemmeno nella scelta dei posti, assegnati a mio avviso con estrema parzialità. Fortuna che per una precisazione, dovuta, Alessandra ci ha condotti in seconda fila e non nel ripostiglio!
Al Degustivina via libera anche ai minorenni, temo, e non era certo il caso di guidare alticci dopo una serata del genere. Nessun controllo all’uscita, ovviamente, nessun vigile con tanto di palloncino da gonfiare per rassicurare…
In più per i non estimatori del buon vino, comprendo che i piccoli assaggi di cibo (nulla affatto bastevoli per saziare un appetito da cena) non potevano certo giustificare il costo del biglietto. Dal mio canto, ho assaporato una così variegata sfumatura di eccellenza che mi ritengo soddisfatta, lo stesso dicasi per il mio buongustaio che ha gradito notevolmente ogni singolo calice.

Da riprovare? Tutto sommato sì!

Contest di Natale, le ricette che vanno in finale!


Non smetterò mai di ringraziare tutti voi, partecipanti al mio contest, tutti coloro i quali in questo mese e spiccioli ci hanno fatto sognare davanti a piatti preparati con amore. Ricette della tradizione, ricette rivisitate, quelle storiche, familiari, che narrano di calore, di… Natale. È stata una bella avventura e sapere che il Direttore di Scelte di Gusto, Alessandra Verzera, ha apprezzato ogni singola partecipazione tanto da dare spazio a tutti quanti sul giornale, mi rende ancor più felice. Se fosse stato per me, vi avrei premiati tutti… se riuscissi a trasmettervi un emozione, vi regalerei un sorriso. E poi un caloroso in bocca al lupo alle 18 finaliste.
Sappiate che le scelte sono state effettuate seguendo i criteri scritti sul giornale (QUI), nessuna mia ingerenza perché desideravo foste tutti uguali alla partenza. Pensate che il mio adorato Buongustaio ha partecipato con un alias - Gusteau, ora posso dirvelo – e con il suo limoncello non è andato in finale. Tutte le finaliste sono state scelte seguendo questo filo: “sono state selezionate quelle ricette che presentavano carattere di originalità o di estrema tradizionalità, la cui spiegazione è stata chiara ed esaustiva ed il cui corredo fotografico è stato assai esplicativo delle fasi di preparazione. Scarsa o addirittura nessuna incidenza nella scelta e nel giudizio ha invece avuto la veste grafica dei blogs dei rispettivi autori: anche laddove è sicuramente piacevole guardare un bel blog, siamo consapevoli che ciò nulla aggiunge alla bontà delle ricette, se non una presentazione più chic. Ma in tavola, si sa, ciò che conta è la sostanza.”

Per cui ecco i nomi delle 18 meraviglie in finale: votate, votate ed ancora votate (naturalmente qui)!

Il briotoneoro di Mary del blog Il piacere del palato
I paccheri giganti con spinaci e ricotta di Fabiola del blog Olio e aceto
Il panettone con LM di Assunta del blog La cuoca dentro
La torta di rose di Suzy del blog Susy's kitchen
Il pasticcio salmonato di Francesca del blog Fimmina cuciniera
Il christmas cake di Veru del blog La cuochina sopraffina
Le pasticelle di Gioppa del blog Olio d'oliva
I ravioli al salmone con profumo di limone di Stefania del blog Nuvole di farina
Le tagliatelle con crema di gamberetti di Dani del blog Cucina libri e gatti
Le tortine di frolla con ricotta di Patrizia del blog I dolci nella mente
Il carrè di maiale all'arancia di Elena del blog Cooking Elena
Gli involtini di pesce spada e ciliegino gratinato di Giuseppe del blog dolciblei
Le linguine agli scampi di Muffins del blog Dolci idee e non solo
I cupcake con ganache all'arancia di Anna del blog Deliziando deliziando
Il risotto ai porri e pecorino di fossa di Chiara del blog Cucinando con mia sorella
L'arrosto di vitello al latte di Suzy del blog Susy's kitchen
I ravioli pere e gorgonzola di Maria del blog Cuoche si diventa
La sella di capriolo con salsa di ribes e agrumi di Nonna Paperina del blog La fattoria di Nonna Paperina

giovedì 1 dicembre 2011

La setteveli


Nella borsa della spesa:
Il pandispagna al cioccolato (preparazione con 3 uova) – clicca sulla scritta per vedere la ricetta
-> Per la base di cioccolata:
130 g di Cioccolato fondente
50 g di granella di nocciole
40 g di fiocchi di mais (io in realtà questa volta ho usato 30 g di soffiato di kamut al miele)
-> Per la bavarese:
250 ml di Latte intero
100 g di Zucchero semolato
35 g di Amido di mais
2 Tuorli
Essenza di vaniglia
8 g di Colla di pesce
75 g di pasta di Nocciole
120 g di Cioccolato fondente
500 ml di Panna da montare (il tipo fresco da banco frigo!)
-> Per la glassa a specchio:
175 g di Acqua
150 g di Panna fresca liquida
225 g di Zucchero
75 g di Cacao amaro
8 g di Colla di pesce


Utensili necessari:
  • Un anello in metallo da 24-25 cm di diametro
  • Robot da cucina (nel caso in cui la pasta di nocciole si prepari in casa. Io ho usato il Bimby!)
  • Un lecca pentole, o spatola (la mia è Le creuset)
  • Fruste elettriche o planetaria per montare la panna
  • Frusta manuale
 Per decorare:
100 g di Cioccolato bianco
Caramello (preparato con 50 g di Zucchero semolato e 1 cucchiaino di acqua)


Vi racconto il “come fare”:
Si tratta di una torta a strati la cui composizione prevede un passaggio obbligatorio in freezer. Per tale motivo vi serviranno almeno 24 h di lavoro.
Il mio consiglio è questo, preparare due o tre giorni prima il pandispagna al cioccolato secondo ricetta che troverete qui. Nel secondo giorno di lavoro potrete preparare tutto il resto e montare la torta, mentre il giorno deputato alla degustazione basterà solo tirare fuori la torta dal freezer e procedere con la “glassatura a specchio”. I setteveli della torta sono così costituiti: alla base un disco di cioccolata (1), sopra un velo di bavarese base (2), sopra ancora un disco sottilissimo di pandispagna al cioccolato (3), la bavarese alla nocciola (4), un nuovo disco sottilissimo di pandispagna al cioccolato (5), la bavarese al cioccolato (6) e per finire la glassa a specchio (7). Ma procediamo con ordine.



Giorno 1:
Prepariamo il pandispagna al cioccolato e lo lasciamo raffreddare bene, quindi lo conserviamo chiuso in una latta o dentro un sacchetto di plastica o altro contenitore che ne mantenga la fragranza. Preparando il pandispagna prima vi sarà molto più semplice in seguito tagliarlo perché la torta acquisirà una buona elasticità e tenderà meno a spezzettarsi.



Giorno 2:
Se vogliamo preparare in casa la nostra pasta di nocciole, munitevi di un buon robot a lame. Tostate in forno (basteranno circa 15 minuti a 180°C) le vostre nocciole, separate il frutto dalla pellicina scura e tritate finemente le nocciole. Continuate a tritare fin quando le nocciole stesse non rilasceranno il loro “olio” e la granella diventerà una pasta molto compatta. Per questa operazione io ho utilizzato il Bimby, alle alte velocità. Ma per chi non volesse o potesse imbattersi nella preparazione, i negozi specializzati per la vendita al dettaglio di prodotti da pasticceria saranno lieti di vendervi la pasta di nocciole già pronta.
La seconda operazione da fare sarà la preparazione della base di cioccolata: preparate sul piano di lavoro un foglio di carta da forno. Fate fondere a bagnomaria, ed a fuoco dolce, il vostro cioccolato fondente, aggiungete quindi la granella di nocciole e i cereali. Mescolate bene l’impasto e versatelo sul foglio di carta da forno. Con un secondo foglio di carta da forno coprite l’impasto e con il mattarello stendetelo bene fino ad ottenere un disco sottile mezzo centimetro (circa). Disco che taglierete a misura aiutandovi con il cerchio di metallo che desiderate usare per la composizione della torta. Nota: tagliate a misura il disco di cioccolato da caldo, poi l’operazione sarà più complicata; allontanate i ritagli e lasciate solidificare la base di cioccolato tra i fogli di carta da forno.


Prepariamo adesso la bavarese base come segue: su un pentolino portate il latte a bollore, a fuoco medio. Intanto mescolate i due tuorli con lo zucchero, aggiungete l’amido e poco per volta il latte caldo e l’essenza di vaniglia. Versate tutto nuovamente nel tegamino, portate sul fuoco a fiamma dolce e lasciate addensare per un paio di minuti. Spegnete il fuoco e lasciate intiepidire ancora un paio di minuti, intanto mettete in acqua gelata in fogli di colla di pesce. Trascorsi i due minuti, appena la bavarese si sarà intiepidita, scolate bene dall’acqua la colla di pesce e aggiungetela alla crema. Mescolate energicamente con una frusta manuale e lasciate raffreddare del tutto.
Per le due diverse bavaresi invece faremo così: montate la panna, se non già zuccherata potrete aggiungere su 500 ml circa 50 g di zucchero, a neve ben ferma. Per la bavarese alla nocciola pesate 150 g di bavarese base e aggiungete la pasta di nocciole. Con la spatola amalgamate per bene, poi aggiungete poco per volta la metà della panna montata. Poco per volta e con movimenti dal basso verso l’alto, per evitare di smontare la panna, amalgamate tutti gli ingredienti. Per la bavarese al cioccolato fate fondere il cioccolato fondente a bagnomaria e aggiungetelo a 125 g di bavarese base. Con una spatola amalgamate per bene la bavarese base al cioccolato, quindi aggiungete la restante parte di panna montata e miscelate con movimenti dal basso verso l’alto.

Adesso possiamo montare i setteveli: prendete il vostro cerchio di metallo e se preferite, per maggiore praticità in seguito nell’estrazione della torta, foderate con un anello in acetato (i classici anelli in plastica trasparenti che avvolgono le torte in pasticceria. Io in effetti NON l’ho usato!). Poggiate l’anello di metallo su un vassoio, inserite dentro l’anello di metallo il disco di cioccolato, granella e cereali. Spalmate il disco di cioccolato con un velo di bavarese base, avanzata dalle precedenti preparazioni, posizionate sopra un disco molto sottile di pandispagna al cioccolato. Continuate con la bavarese alla nocciola, inserite un nuovo disco di pandispagna al cioccolato e terminate con la bavarese al cioccolato. Con la spatola sistemate la superficie della torta in modo più omogeneo possibile. Riponete la torta nel freezer e lasciate riposare e congelare per una notte intera (almeno 8 ore!)



Giorno 3:
In ultimo rimarrà da preparare la glassa a specchio. In effetti questa glassa si può preparare anche il giorno prima e poi ravvivare eventualmente a bagnomaria, se dovesse indurirsi troppo.
Mettete dentro un pentolino l’acqua, la panna, lo zucchero e il cacao e portate sul fuoco. A bollore, spegnete la fiamma e lasciate riposare per 10 minuti. Intanto ammorbidite la colla di pesce in acqua gelata. Trascorsi i 10 minuti, strizzate bene la colla di pesce e aggiungetela alla glassa a specchio mescolando energicamente con una frusta manuale. Lasciate raffreddare fino a temperatura ambiente la glassa. A questo punto tirate fuori la torta dal freezer e toglietela dal cerchio di metallo. Se siete destrorsi (viceversa considerate la mano contraria), prendete dalla base la torta con la mano sinistra e con la destra, con l’aiuto di un mestolino, versate sulla superficie del dolce la glassa. Solo sui bordi della torta potrete aiutarvi con una spatola, mentre sulla parte superiore evitate di toccare la glassa perché rimarranno i segni. Con movimento rotatori del polso fate in modo che la glassa coli da sola coprendo per intero la torta.



Potrete decorare la vostra setteveli come preferite. Io ho realizzato dei cioccolatini fondendo il cioccolato bianco, introducendo questo in un conetto di carta da forno e giocando di fantasia. Poi ho realizzato dei “giochi” con il caramello (fate fondere sul fuoco lo zucchero con una goccia d’acqua. Prima tenderà a cristallizzarsi, poi a sciogliersi, dunque a colorarsi o caramellarsi. Da caldo, su un foglio di carta da forno, versate a filo il caramello praticando figure di fantasia e forme geometriche). Ponete la torta in frigorifero dove rimarrà fino al momento del taglio.

Un pizzico di :
Una torta davvero complicata nell’esecuzione, eppure meravigliosa e di una bontà che sa sorprendere. Circa un anno fa ho letto da Cinzietta la sua volontà di organizzare corsi, insieme alla socia Rosy, per spiegare alcune tecniche di pasticceria. Ho aderito volentieri e seguito due loro lezioni, una di queste verteva sulla setteveli.
Ho osservato Cinzia e Rosy all’opera e mi sono innamorata di questa torta che è diventata il mio pallino. Da allora l’ho preparata due volte. La prima per la mia famiglia, coppandola (me impavida) a forma di fiore. Ecco, troppo complicata la forma per una me inesperta, il risultato è stato strabiliante nel gusto, ma abbastanza scadente nell’aspetto. Ve lo racconto come incentivo a provare, perché di torta in torta mi sono accorta che la manualità cresce e che alla fine, desiderandolo, possiamo essere tutte un po’ pasticcere.



Quando, poco tempo fa, ho ricevuto un piacevole invito a pranzo, il mio pensiero è volato a lei: meravigliosa setteveli. Ho lavorato per un giorno serrato, ma sapere che la mia torta è piaciuta, ed essere rimasta soddisfatta perfino della scenografia mi spinge a volerla ripreparare ancore e ancora.

Desideravo condividere con voi una fetta e il frutto della fatica, buona setteveli a tutti!

mercoledì 30 novembre 2011

Strenne di Natale, ricette di una lettrice e fase finale

Siamo ormai agli sgoccioli di questa bellissima quanto appagante avventura ed io non smetterò mai di ringraziare tutti i partecipanti per le ricette meravigliose che hanno inviato.
Un contest, una gara, ma anche un modo per preparasi alle feste e all’atmosfera calda del Natale, ecco cosa è stato per me questo mese e mezzo (quasi) di raccolta. Ho atteso, gustato, commentato, ammirato tutte le delizie che mi avete segnalato e poi ho stilato l’elenco (non temete, entro domattina anche le ultime ricette arrivate saranno inserite).
Tutte le vostre ricette sono finite on-line sul giornale Scelte di Gusto ed ora passeranno al vaglio dalla giuria composta da Andrea Piovesan (Editore di Scelte di Gusto) e Antonio Fiasconaro (Giornalista, vincitore del concorso "Penne all'Agrodole", edizione 2002). Loro sceglieranno le 18 finaliste che accederanno alla fase due: la votazione direttamente sulle pagine del giornale. Fase di voto che si chiuderà il 31 Dicembre decretando ben sei vincitori.
Fino alla mezzanotte di oggi accoglierò ricette partecipanti, domattina aggiornerò l’elenco con le ultime arrivate (tra ieri ed oggi) poi passerò il testimone a Scelte di Gusto che ringrazio per la qualità dei premi messi a nostra disposizione. Ricordo ancora a tutti voi che è fondamentale iscriversi al giornale, votare e farsi votare perché i premi ne valgono davvero la pena!

Vi lascio con il mio più grande in bocca al lupo e con queste meravigliose ricette, partecipanti alla gara, che mi arrivano dalla lettrice Sara Fusco che ringrazio!

Scarola imbottita


La scarola imbottita rappresenta un piatto tipico della cucina napoletana La tradizione vuole che sia presente su tutte le tavole nel cenone della vigilia e in tutte le feste natalizie. Per la loro preparazione è consigliato l’uso della scarola liscia, non di grandi dimensioni, quelle che nascono in autunno/ inverno perché hanno le foglie più tenere.

Ingredienti per 4 persone
4 cespi di scarola liscia
8 filetti di alici sott’olio
100 gr olive di Gaeta
50 gr pinoli
50 gr uvetta sultanina
50 gr capperi
2 cucchiai formaggio pecorino grattugiato
Olio EVO
Uno spicchio aglio

Procedimento
Lavate per bene le scarole, lasciandole intere e togliendo loro le foglie esterne. Scuotetele in modo da eliminare l’eccesso d’acqua ed apritele delicatamente sul tavolo. Disponete al centro di ognuna le olive snocciolate, due filetti di alici, una manciata di capperi, una di pinoli ed una di uvetta fatta rinvenire in precedenza in un po di acqua tiepida. Aggiungete un po di aglio tritato, una cucchiaino di pecorino ed un pizzico di sale. Richiudete le scarole e legatele con dello spago da cucina per non far fuoriuscire il ripieno. Versate l’olio in una teglia e fatevi rosolare le scarole, dolcemente, per qualche minuto. Aggiungete un bicchiere d’acqua, coprite e cuocete a fuoco moderato per una ventina di minuti. Generalmente vengono consumate come una sorta di antipasto o come una ulteriore seconda portata. Sono ottime anche fredde.

Scauratielli, antiche zeppole natalizie


Le zeppole rappresentano uno dei più antichi e poveri dolci della cucina napoletana. Questa tradizione oggi resiste solo nella penisola sorrentina, dove in molte famiglie, si preparano questi dolci specialmente nel periodo natalizio. .Gli scauratielli sono delle ciambelline fritte, preparate con un impasto composto di farina, acqua, latte e anice, e cosparse di miele e di confettini molto piccoli di tanti colori, che a Napoli chiamiamo "diavulilli" e che fanno tornare alla mente le decorazioni multicolore dell'albero di Natale. Fino agli inizi del secolo scorso, girava per le strade e i vicoli del centro storico di Napoli, la "zeppolara" venditrice di zeppole, non solo dolci ma anche nelle versioni "salate", che nelle feste natalizie vendeva queste zeppoline friggendole nello strutto al momento e le serviva ricoperte di miele.

ingredienti per circa 100 zeppoline
- 5 tazze d’acqua,
- 5 tazze di farina,
- gr 200 circa di latte,
- 1 pizzico di sale,
- un po’ d’anice,
-1 scorza di limone,
- 1 Kg. di miele
- buccia di limone,
- anice q.b.

Procedimento:
Mettere acqua, latte,anice e sale in una capiente pentola sul fuoco. Appena inizia il bollore versate in un sol colpo la farina setacciata. Mescolate con un cucchiaio di legno il composto sul fuoco, fin quando si staccherà dalle pareti della pentola. Versate quindi la pasta sul piano di lavoro leggermente unto di olio, e lavoratela energicamente fino ad ottenere una pasta liscia e omogenea. Tagliatela allora a pezzettini e arrotolatela con le mani in modo da ottenere dei bastoncini di circa 15 cm di lunghezza e dategli la forma della lettera elle. Preparatene poche alla vota così da evitare che la pasta si indurisca in superficie. Pungetele più volte con i rebbi di una forchetta. Friggetele in abbondante olio bollente e fatele asciugare su carta da pane. Immergete poi le zeppoline nel miele che avrete,in precedenza, cotto sul fuoco unendovi la buccia di limone e d'arancia. Cospargetele coi "diavulilli" .

Profumo di Natale : I Follovielli


A Napoli e in Campania è uso terminare i pranzi del periodo natalizio con le cosiddette “ sciosciole “. Le sciosciole non sono altro che un cesto o altro tipo di contenitore, ripieno di noci, nocciole, datteri, fichi secchi di tutti i tipi, castagne secche, prugne secche, che vengono consumate appunto a fine pasto, da tutta la famiglia riunita intorno al tavolo. Un tempo, non potevano mancare tra le sciosciole i profumatissimi follovielli, fagottini di foglie di agrumi (limoni) ripieni di uva passita e arancia candita. Questa squisitezza, tipica della costiera sorrentina e, con qualche piccola differenza, della riviera dei cedri, nel cosentino, è in sostanza introvabile nel resto d’Italia. Nella costiera sorrentina, sono prodotte solo da poche aziende artigiane locali, che hanno il loro mercato principalmente all’estero e in sostanza non sono più preparate in casa. Le origini dei follovielli sono antichissime, risalgono al periodo romano, dove, però erano preparati con foglie di platano, di vite o di fico.
Il termine “ folloviello “ deriva, etimologicamente, da “ follare “ cioè pigiare oppure da “ folliculus “ che significa sacchetto. La lavorazione è la stessa da circa duemila anni, se non per l’utilizzo del forno elettrico al posto di quello a legna. Ma veniamo alla preparazione:

Ingredienti:
Foglie di limone
uva passita ( possibilmente di pantelleria )
vino bianco
Scorzette di arancia candita
Steli di rafia

Procedimento:
Lavate più volte accuratamente le foglie di limone, quindi asciugatele. Portate a ebollizione due / tre bicchieri di vino bianco, e fateci bollire per alcuni minuti l’uva passita. Mettete della carta da forno su una teglia e versatevi l’uva cotta nel vino, e infornatela in forno moderato (non più di 100 ° ) per un paio di ore in modo da far asciugare l’uva passita ed eliminare l’umidità. Disponete le foglie di limone sul tavolo e intrecciatele a spina di pesce, o comunque in modo da poter poi richiuderle a mo di fagottino. Disponete al centro delle foglie un mucchietto di uva passita e uno di scorzetta d’arancia, richiudete il tutto e avvolgete i follovielli con della rafia o altra fibra vegetale. Ripassate in forno moderato per 15/20 minuti i follovielli e poi potete conservarli in un contenitore con coperchio per deliziare il vostro palato ed il vostro olfatto nel periodo natalizio!

venerdì 25 novembre 2011

Quando la cucina diventa integrazione: Ampesi and beans stew, una ricetta ghanese


Beans e Yam, due ingredienti fondamentali per realizzare questo piatto dal sapor di integrazione. Si tratta di una ricetta tipica Ghanese: ampesi and beans stew. Ricetta che viene realizzata e proposta, pur nella sua semplicità, per allettare i palati regali. Re e reggine, così si sentono gli abitanti del Ghana che possono assaporare questo accostamento. Ampesi and beans stew è stato il piatto che una ragazza Ghanese ha cucinato per una sua coetanea italiana; ne è nata una bella amicizia tra i fornelli e nell’ora del desinare.


Questo sia il titolo che l’occhiello di un articolo che ho scritto per Scelte di Gusto, che - se avrete voglia di leggere integralmente - troverete QUI assieme alla ricetta di questa preparazione.

Il mio blog, da qualche mese a questa parte, è in continua evoluzione, come chi mi segue da un po’ avrà avuto modo di constatare. È come se le idee, la voglia di rinnovamento, il desiderio di far crescere la pecorella che popola questo spazio virtuale, fossero all’interno di un vortice incessante che stravolge, rivede, taglia e cuce, costruisce. Dopo aver messo mani alla mia biblioteca culinaria, dopo aver iniziato un percorso di tecniche e ricette base, oggi riesco finalmente a dare il via ad uno degli spazi a cui forse tenevo di più nel desiderio di sviluppare e conoscere la Cucina dal Mondo!


Bridget e Tiziana sono due ragazze apparentemente diverse, due donne che vivono e popolano due porzioni di mondo lontane, due coetanee che sorridono alla diversità di colore. Accomunate dall’età, dalla voglia di raccontare e raccontarsi(…) Tiziana conosce Bridget in un momento molto particolare della vita di quest’ultima: il suo trasferimento in Italia alla ricerca di lavoro, di stabilità, di realizzazione; conosce lo sgomento di chi deve affrontare il distacco dagli affetti, dalla propria terra che ama, dalle abitudini, lo smarrimento di chi non sa esprimersi che in una lingua compresa da pochi. Bridget si sente muta e sorda e sola. Bridget piange, il colore delle lacrime è uguale, soffre nel desiderio di sentirsi accettata, speciale. Ha molti titoli di studio, ha sempre lavorato, ama cucinare.


Questo ancora un estratto del mio articolo, per raccontarvi di colei che mi ha insegnato a cucinare un piatto tipico del Ghana: Ampesi and beans stew e con questo cibo che ha il sapore di amicizia e integrazione inizio a dar vita alla nuova rubrica. Io, a Bridget, ho aperto la mia casa, le ho preparato il pane con il LM e offerto un antipasto al volo tutto italiano, l'insalata e poco altro. Ma la nostra tavola si è rivelata allegra e ricca, un'esperienza da portare nel cuore.

Buon fine settimana a tutti voi, qualunque sia il colore della vostra pelle :)
Tiziana

giovedì 24 novembre 2011

Cucina pulita, tigre sopita!


In casa sono stata, da tempo ormai, ribattezzata la tigre o… per dirla come Rosy (mia mother) tiger woman! Sono certissima che vi starete chiedendo il perché!? Bene, nulla mi vieta di raccontare: sono una perfezionista, una che ci tiene, che si attacca alle parole, permalosetta e un po’ (!) orgogliosa, ma solo quando la mosca tzetze mi mozzica; per il resto del tempo mi reputo una pecorella docile e buona – da qui anche il nome del blog, per quel mio essere un po’ sole un po’ tempesta. Ora, questa mosca tzetze colpisce quando meno me lo aspetto, incontenibile parte la furia, la tigre sopita salta fuori e fa stragi di familiari: urlo, sbraito, insomma… ho quello che si definirebbe, per praticità, un bel caratterino.


Immaginerete dunque cosa accade quando il caro mio, adorato, buongustaio mi propone di cucinare!? La pecorella che è in me esulata, invoglia, spinge il tesoro suo a dare vita all’estro creativo ai fornelli. L’ultima volta ne è nata una lasagna funghi e zucchine con i fiocchi (presto su questi teleschermi), ma alla fine la cucina sembrava un campo di battaglia. Sembrava che l’uragano Katrina si fosse abbattuto sui fornelli portando con sé quella mosca… la tigre sopita è balzata fuori in un istante e armata di artigli fatti sgrassatore ha deciso di ripulire, per evitare di azzannare e con ferocia.
Per questa volta il buongustaio è stato salvato dall’intervento di Emulsio il salvambiente, con pochi spruzzi di sgrassatore i fornelli sono tornati a risplendere, il sereno è comparso sulla casetta al marzapane spazzando via nuvole di temporale e la tigre si è svestita, PdM è ritornata pulita e gaia!



Un saluto e il mio ringraziamento vanno alla persona con cui ho intrattenuto una piacevole conversazione che poi è sfociata in collaborazione. Mi è stato proposto di provare Emulsio il salvambiente e il risultato non mi ha deluso ne in termini di qualità del prodotto, ne in termini di mission: una scelta davvero intelligente per rispettare la nostra amata Terra, meno plastica, meno inquinamento, meno sprechi, uguale (se non migliore) forza pulente! Tiger woman vi consiglia tutta la linea, e questa filosofia di consumo votata al rispetto della natura, al biologico, al risparmio in termini di risorse e di materie prime… perché non dare, nel nostro piccolo, una mano o nel mio caso (tigre o pecorella che sia) una zampa?

Non lo dico per principio, ma come pura è semplice verità: io uso da tempo i detersivi alla spina (così come raccontai alla persona che mi ha contattato proponendomi la collaborazione, che ho accettato proprio per lo spirito della mission) perché detesto l’idea di “buttare” la plastica (conoscendo bene l’impatto ambientale che essa ha!) e le ricariche Emulsio il salvambiente sono una validissima alternativa alla mia scelta, ecco perché ci tenevo a parlarvene in un post dedicato (cosa che non faccio quasi mai per le mie collaborazioni!).